lunedì 31 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
domenica 30 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
sabato 29 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
venerdì 28 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Dopo di noi il diluvio (si usa dire anche la tempesta) è un modo di dire italiano sul calco del francese après nous le déluge.
L'espressione riferita a chi sente che dopo la propria morte (reale o metafisica) le cose andranno a finire male, dimostra lo scarso interesse per il destino altrui. È una frase attribuita alla Madame De Pompadour (nata Jeanne-Antoinette Poisson) che intendeva sollevare il morale di Luigi XV, suo amante, dopo la sconfitta di Rossbach, invitandolo a non pensare alle drammatiche conseguenze.
giovedì 27 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Con tallone di Achille si intende indicare il punto debole nascosto di una persona, di una macchina o di un sistema.
La dicitura deriva dal mito greco secondo cui l'eroe Achille sarebbe stato immerso, bambino, dalla madre Teti nelle acque del fiume Stige, così che divenisse invulnerabile. Per immergere Achille, la madre dovette tenerlo per il tallone, che rimase così l'unica parte vulnerabile. Secondo la versione del mito riportata nell'Eneide di Virgilio, durante la guerra di Troia, Paride, sebbene non fosse venuto a conoscenza del punto debole dell'eroe, lo uccise colpendolo con una freccia al tallone, in quanto esso era l'unica parte scoperta dall'armatura di Achille.
mercoledì 26 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
martedì 25 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Senza infamia e senza lode è un modo di dire italiano, usato per indicare qualcosa di mediocre, che pur non avendo palesi difetti non presenta però neanche particolari qualità.
Questa espressione che è entrata nel linguaggio corrente ha una genesi dotta, essendo filtrata dalla Divina Commedia di Dante Alighieri.
Nel Canto III dell'Inferno egli sta descrivendo la massa dei cosiddetti "ignavi" (parola che non appartiene al linguaggio del poeta, ma che è frutto della critica successiva), cioè dei vili che rifiutarono di schierarsi per qualsiasi causa per vigliaccheria.
Dante allora li definisce come:
« coloro / che visser sanza 'nfamia e sanza lodo ». |
lunedì 24 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
domenica 23 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Secondo il racconto di Cicerone, Damocle è un principe particolarmente adulatore alla corte di Dionigi I, tiranno di Siracusa nel IV secolo a.c. Nell'aneddoto Damocle sostiene in presenza del tiranno che egli sia una persona estremamente fortunata, potendo disporre di un grande potere e di una grande autorità. Dionigi gli propone, allora, di scambiare con lui i rispettivi ruoli per un giorno, in modo da poter assaporare tale fortuna. Damocle accetta. La sera si tiene un banchetto, durante il quale inizia a tastare con mano i piaceri dell'essere un uomo potente. Solo al termine della cena nota, sopra la sua testa, la presenza di una spada affilata, sostenuta da un esile crine di cavallo. Dionigi l'aveva fatta sospendere sul capo di Damocle perché capisse che la sua posizione di tiranno lo esponeva continuamente a grandi minacce per la sua incolumità. Immediatamente Damocle perde tutto il gusto per i cibi raffinati che sta assumendo, nonché per le bellissime ragazze che gli stanno intorno e chiede al tiranno di voler terminare lo scambio, non volendo più essere così fortunato.
La spada di Damocle è una metafora utilizzata molto frequentemente in riferimento a questo racconto. Essa rappresenta l'insicurezza e le responsabilità comportate dall'assunzione di un grande potere. Da una parte c'è il timore che il ruolo di potere possa essere portato via all'improvviso da qualcun altro, dall'altra che la sorte avversa ne renda molto difficile il mantenimento.
In genere tale espressione viene usata per indicare un pericolo incombente e/o inevitabile.
sabato 22 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Questione bizantina è un modo di dire è usato per indicare una discussione inutile e sterile, che può anche risultare pericolosa in un frangente in cui occorre prendere decisioni rapidamente.
L'espressione è nata nel periodo immediatamente successivo all'assedio di Costantinopoli nel 674 La città fu assediata dagli arabi dopo che questi avevano precedentemente conquistato Siria,Palestina ed Egitto, in un'avanzata inarrestabile durata dal 634 al 642. Prima dell'assedio, inoltre, i maomettani avevano saccheggiato l'Anatolia in diverse occasioni, con incursioni fulminee e sostanzialmente senza incontrare resistenza.
Ma a Costantinopoli la guerra con gli arabi non era il tema principale all'ordine del giorno. Erano infatti celebri all'epoca le discussioni teologiche che si tenevano nei palazzi dell'Impero Romano d'Oriente su questioni marginali della liturgia e della religione. I teologi di Bisanzio, ad esempio, si chiedevano se Gesù, alla destra di Dio, fosse seduto o in piedi, o se nell'Ostia consacrata il Salvatore fosse in corpo o in spirito. Da allora si parlò di questioni bizantine, per indicare appunto discussioni futili fatte mentre ci si dovrebbe occupare di problemi contingenti.
venerdì 21 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Repubblica delle banane è un'espressione dispregiativa che generalmente sta a indicare una piccola nazione, spesso latino-americana o caraibica, politicamente instabile, dipendente solo da un modesto settore agricolo in mano a multinazionali e governata da un'oligarchia ricca e corrotta. Il termine fu originariamente coniato dallo scrittore americano O. Henry in riferimento all'Honduras.
La United Fruit Company e la Stantard Fruit Company controllavano la produzione ed esportazione delle banane, il settore economico principale dell'Honduras e di altri paesi caraibici e sudamericani. Le due compagnie americane avevano un ruolo determinante nella vita politica locale, tanto che spesso la definizione di repubblica rappresentava un'etichetta di facciata per quelle che in realtà erano dittature gestite da élite locali in grado di garantirsi l'appoggio internazionale.
La "repubblica delle banane" nella satira viene spesso rappresentata come presieduta da una giunta militare che sopravvaluta il proprio potere e ne esagera i simboli e le procedure. Le proverbiali dimensioni delle mostrine del generalissimo di una repubblica delle banane, spesso dipinte come una radazza sono indice di questo.
Attualmente il termine è entrato nel vocabolario di tutti i giorni per indicare genericamente un regime dittatoriale e instabile, dove le consultazioni elettorali sono pilotate, la corruzione è ampiamente diffusa così come una forte influenza straniera (che può essere politica o economica - sia diretta che attraverso il governo interno).
Per estensione il termine è occasionalmente usato per definire governi dove un leader forte concede vantaggi ad amici e sostenitori senza grande considerazione delle leggi e mettendo alla porta coloro che non l'hanno votato.
giovedì 20 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Vuolsi così colà dove si puote è un'espressione celebre mutuata dalla Divina Commedia di Dante Alighieri. La pronuncia Virgilio, guida di Dante nel viaggio nell'aldilà, per quietare gli spiriti infernali che protestano al passaggio dei due visitatori, in particolar modo contro Dante stesso che è persona vivente.
L'espressione completa è Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare e viene ripetuta da Virgilio nell'Inferno per due volte in maniera esattamente uguale e per una terza volta con qualche variazione. La perifrasi colà dove si puote ciò che si vuole indica il Paradiso, dove si trovano coloro che vogliono il viaggio di Dante.
L'espressione viene usata per la prima volta nei confronti di Caronte:
« [...] Caron, non ti crucciare: Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare » | |
La seconda volta viene rivolta a Minosse:
« [...] Perché pur gride? Non impedir lo suo fatale andare: Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare » | |
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La terza, con qualche variazione, a Pluto:
« [...] Taci, maladetto lupo; consuma dentro te con la tua rabbia. Non è sanza cagion l'andare al cupo: vuolsi ne l'alto, là dove Michele fé la vendetta del superbo strupo » | |
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Cioè si vuole lassù dove l'Arcangelo Michele vendicò la ribellione degli angeli, cioè in Paradiso.
In ognuno di questi casi le parole hanno l'effetto di calmare immediatamente i mostri, i quali si ammansiscono facendo passare i due pellegrini.
Il significato in prosa è più o meno "Questa è la volontà di chi detiene il potere, non chiedere altro". Nel linguaggio comune l'espressione viene usata per indicare (anche in maniera sarcastica) la volontà di qualcuno che non può essere messa in discussione, cioè l'ordine di un superiore che ha il potere ultimo di decisione, contro il quale ogni lamentela è inutile, sottintendendo quindi a una gerarchia inoppugnabile. Il "colà" inteso come luogo dove si decide, assomiglia per analogia a quello dell'espressione della cosiddetta "stanza dei bottoni".
mercoledì 19 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Con il termine caccia alle streghe si indica la ricerca e la persecuzione di donne sospettate di compiere sortilegi, malefici, fatture, legamenti, o di intrattenere rapporti con forze oscure ed infernali dalle quali ricevere i poteri per danneggiare l'uomo, specialmente nella virilità, o nello sciogliere o legare amori (connotati, questi, che nell'immaginario popolare hanno da sempre delineato la figura della strega).
Il fenomeno della caccia alle streghe nacque all'incirca alla fine del XV secolo e perdurò fino all'inizio del XVIII secolo all'interno dell'occidente cristiano. Benché le prime tesi sulla stregoneria vengano fatte risalire alla letteratura cattolica del 1400 circa, fu in particolare nelle regioni protestanti in cui ebbe maggior rilevanza e recrudescenza il fenomeno, soprattutto durante l'Umanesimo e il Rinascimento. In quell'epoca, le streghe, ritenute sospette e pericolose dalle autorità civili e religiose, furono oggetto di persecuzioni che sovente terminavano con la morte.
Nella terminologia moderna, per estensione, con "caccia alle streghe" si indica l'atto di ricercare e perseguire determinate categorie di persone quando questa ricerca viene condotta usando misure estreme e con scarsa considerazione della reale colpevolezza o innocenza, nella convinzione che punire un colpevole in più ben valga l'ingiusta punizione di molti innocenti.
martedì 18 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Si suppone che l'espressione derivi dall'antica credenza che il Cygnus Olor detto anche cigno muto per l'incapacità di emettere suoni, appena prima di morire fosse in grado di cantare una struggente e bellissima canzone.
Gli uomini, riferisce il filosofo greco, mentono anche sui cigni e sostengono che essi, prima di morire, cantino per il dolore.
Ma nessun altro uccello se ha fame, freddo o altro inconveniente esprime col canto la sua sofferenza.
I cigni, sacri ad Apollo, al termine dei loro giorni, prevedendo il bene che troveranno nel ricongiungersi al loro dio, si rallegrano. Allo stesso modo Socrate, compagno di servitù dei cigni e non meno di essi indovino, gioisce. Egli è certo che, nel momento in cui la sua anima si sarà liberata dalle catene del corpo, potrà finalmente ritornare alla vera luce.
lunedì 17 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Salvare capra e cavoli è un modo di dire, con cui si intende salvaguardare con una decisione gli interessi di due soggetti.
Il detto nasce da un gioco di logica, il cui obiettivo è trasportare da una riva all'altra di un fiume un lupo, una capra e dei cavoli su una barchetta. Dato che la barca non può trasportare più di una cosa contemporaneamente, il giocatore deve trovare l'esatto ordine di azioni affinché il lupo non mangi la capra o la capra non mangi i cavoli (si assume che il lupo, in quanto carnivoro, non mangi i cavoli).
È possibile risolvere il gioco - salvando così capra e cavoli (e lupo) - eseguendo le seguenti azioni (si definisca "A" la riva di partenza e "B" la riva di arrivo):
- Traghettare la capra da A a B (nel frattempo sulla sponda A restano il lupo e i cavoli)
- Tornare indietro
- Traghettare i cavoli da A a B
- Riportare indietro la capra da B ad A (per evitare che mangi i cavoli, che ora si trovano sulla riva B)
- Traghettare il lupo da A a B (per evitare che mangi la capra, che è tornata sulla sponda A)
- Tornare indietro
- Traghettare la capra da A a B (mentre sulla sponda B restano il lupo e i cavoli)
per un totale di 7 mosse.
domenica 16 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Non ragioniam di lor, ma guarda e passa è un celebre verso della Divina Commedia di Dante, diventato un modo di dire comune, sebbene con numerose varianti, uguali nel senso, ma storpiate nel testo (non ti curar di loro, non parliam di loro...).
Nel Canto III dell'Inferno, al verso 51, Virgilio, guida di Dante, sta descrivendo i cosiddetti "ignavi" (un'attribuzione - in realtà - mai usata da Dante ma nata in seno alla critica), cioè i vili, "coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo":
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Dante, infatti, ha una pessima opinione di quelli che, per viltà, nella loro vita non si schierarono mai (oggi diremmo i "neutrali"), a differenza di lui il cui destino - si pensi solo alla condizione di esule - fu proprio segnato dall'aver abbracciato idee politiche. Egli li pone nell'Antinferno, una collocazione che permette che i dannati possano perfino sentirsi superiori a loro: i malvagi, almeno, hanno scelto una strada, hanno preso una posizione, seppur quella della perdizione.
Per questo fa pronunciare a Virgilio la sdegnosa frase: di loro, che nessuna traccia hanno lasciato nel mondo, non vale neppure la pena parlare.
Nel linguaggio comune questo modo di dire viene usato con un tono di biasimo, rivolgendolo a quelle persone per le quali non vale nemmeno la pena di sprecare parole di condanna: si deve solo andare oltre, soprassedendo in silenzio.
sabato 15 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
La frase Pater, Ave, Gloria, reperibile anche in forma contratta Pateravegloria specie nelle forme dialettali, è una locuzione usata per indicare una particolare forma di preghiera tipica del culto cattolico legata alla pratica del rosario mariano.L'espressione indica precisamente, nel suo significato originario, ognuno dei "blocchi" di cui è costituito il rosario, denominati più propriamente "misteri".
Ogni "mistero" è composto dalla recitazione di alcune invocazioni stabilite dalla liturgia: nell'ordine, la proclamazione del "mistero" , seguito da un "padre nostro", dieci "Ave Maria" e un "Gloria al Padre". Per cui, le tre parti della locuzione (Pater, Ave e Gloria) rappresentano rispettivamente i nomi latini ognuna delle parti della celebrazione.
Il termine nella sua forma tipica è entrato nell'uso comune nelle espressioni colloquiali di numerose parti d'Italia per via della tradizione di celebrare il rosario e le funzioni in lingua latina, difficilmente compresa dal popolo che si limitava a riprenderne i suoni e la fonetica.
venerdì 14 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Nel 1946 Mao, capo dell'Esercito di Liberazione Popolare cinese e futuro presidente della Cina, rilascia questa dichiarazione alla giornalista americana Anna Louise Strong:
- Tutti i reazionari sono tigri di carta (paper tigers nella versione inglese dell'intervista). Apparentemente sono terribili, ma in realtà non sono poi tanto potenti.
Durante gli anni del Maoismo questa espressione metaforica, usata per definire un avversario solo apparentemente minaccioso, diventerà uno slogan ricorrente nei confronti dei nemici imperialisti della Cina, e in particolare degli Stati Uniti. L'espressione avrà un notevole successo nel mondo occidentale, anche grazie alla diffusione del Libretto rosso, che alle "tigri di carta" dedica un capitolo.
giovedì 13 gennaio 2011
MODO DI DIRE DEL GIORNO
Eroi della sesta giornata o eroi della sesta è un modo di dire, tipicamente usato per definire gli opportunisti che, pur non avendo partecipato ad un combattimento nelle sue fasi incerte e pericolose, si mettono in mostra quando il successo è ormai certo e, profittando dei seguenti momenti di euforia e confusione, cercano di ipotecare a loro vantaggio la vittoria, accaparrandosene il merito e occupando posti di potere e uffici redditizi.
L'espressione, di origine milanese, venne popolarmente coniata nei giorni successivi alla Cinque Giornate, quando un gruppo di aristocratici, borghesi e politici meneghini che si erano ben guardati dal partecipare agli scontri, dopo la ritirata delle truppe austriache si insediarono al governo di Milano, lanciando appelli e dichiarando fedeltà a Carlo Alberto.
L'espressione è stata utilizzatain varie occassioni nel corso dell'ultimo secolo di storia per indicare coloro che saltano sul carro del vincitore, particolarmente nei confronti dei moltissimi che chiesero e ottennero il certificato di partecipazione alla Marcia su Roma, pur non avendovi partecipato, o della moltitudine di sedicenti partigiani, sbucati dal nulla nei giorni immediatamente successivi o precedenti la Liberazione.
mercoledì 12 gennaio 2011
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martedì 11 gennaio 2011
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lunedì 10 gennaio 2011
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domenica 9 gennaio 2011
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sabato 8 gennaio 2011
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venerdì 7 gennaio 2011
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giovedì 6 gennaio 2011
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